QUATTROCENTO E CINQUECENTO
In un modello ideale, a Firenze, il Carnevale ha il volto arguto e lo sguardo intenso di Lorenzo de’ Medici
che intorno al 1490
scrive il celeberrimo canto carnascialesco dedicato a Bacco e Arianna, da far eseguire cantato da un coro e accompagnato dalla musica: chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza.
A Firenze, infatti, la tradizione dei carri
chiamati trionfi
(allestiti in legno e juta) consentiva di festeggiare i giorni che precedevano la Quaresima in modo vivace, curioso e affollato sia da popolani sia da nobili,
mentre non mancavano giovani
di nobile famiglia che mascherati si inseguivano tra la folla
lanciando una palla di stracci
addosso a quanti incontravano o nelle botteghe degli artigiani - per costringere i padroni a far uscire i lavoranti a divertirsi
almeno per Carnevale, provocando stupore e qualche volta divertimento in chi finiva coinvolto nel gioco.
In città il gioco, poi, nella forma che oggi è conosciuta come calcio storico, nella seconda metà del Quattrocento era così diffuso tra i giovani, di ogni ceto sociale, che lo praticavano in ogni strada e piazza. Fu così che venne regolamentato e autorizzato nelle piazze maggiori e - soprattutto - nel periodo del Carnevale, quando le norme del vivere comune lasciavano spazio all’infrazione degli usi e costumi. La più celebre e fiorentina delle partite di calcio in livrea
fu infatti disputata secondo la tradizione tra 54 nobili, il 17 febbraio 1530, che vollero così beffarsi delle truppe al soldo dell’imperatore Carlo V che li stavano assediando da mesi. Giocarono in Santa Croce, così da poter esser visti dal nemico accampato sulle colline, i musici suonarono come per una festa e, anche se stremati, scesero in campo orgogliosi.
È sempre legato alla città e al Carnevale uno degli eventi fondamentali della tradizione musicale dell’Occidente, perché nel periodo che precede la Quaresima del 1598
venne rappresentata per la prima volta la Dafne
di Jacopo Peri (su libretto di Ottavio Rinuccini), un vero e proprio dramma per musica. Il raffinatissimo recitar cantando
che fu portato in scena in uno dei Palazzi di Firenze segna storicamente l’inizio dell’opera
ancora oggi conosciuta e amata in tutto il mondo.
SETTECENTO
Le sfilate dei carri, le feste, il gioco vennero mantenuti nel periodo in cui regnarono sulla Toscana i Lorena: il corso delle carrozze, i veglioni, i balli nei teatri
(a cominciare dal teatro La Pergola, nel quale venivano anche fatte debuttare per l’occasione opere e commedie) e i sontuosi ritrovi in maschera in piazza Santa Croce
erano generalmente consentiti nel pomeriggio e di sera, mentre i teatri rimanevano aperti più a lungo e diventavano il luogo perfetto nel quale allestire anche feste danzanti, che erano organizzate nelle dimore private, nei palazzi dei nobili e dei diplomatici stranieri.
E se nelle sale si ballavano la quadriglia, il minuetto e la gavotta, nelle piazze e sulle aie di campagna la musica era quella del trescone, della carola e del salterello.
LA MASCHERA DI STENTERELLO
E proprio alla fine del Settecento, al teatro del Cocomero, nacque grazie all’attore fiorentino Luigi del Buono, il personaggio di Stenterello: magrissimo per gli stenti vissuti, pallido, traballante, popolano e povero, ironico e astuto, rappresenta l’uomo che riesce ogni volta a salvare la pelle e allo stesso tempo a criticare e polemizzare con le autorità; il tipo perfetto del fiorentino
dei suoi tempi. Sul panciotto
giallo una doppia dichiarazione d’identità: il 28
sul petto (e a Firenze, si sa, è il numero di chi è tradito dalla moglie) e la scritta posa piano
sul bordo lo identifica come un tipo calmo, apparentemente distratto ma capace di scansare ogni fatica. Le calze fin sopra il ginocchio di colori diversi e una passione per il vino
lo segnano da sempre, mentre è Pellegrino Artusi
a raccontare che a Stenterello piacciono le frittelle di tondone
(quelle descritte dalla ricetta 181), profumate di limone e dolci di uva malaga.
OTTOCENTO E NOVECENTO
Nell’Ottocento e fino al Novecento i balli pubblici, erano organizzati sotto le logge del Mercato Nuovo e all’altezza di quella dei Lanzi
e quando arrivavano i nobili e i signori potevano anche loro diventare oggetto di lazzi e battute. La Grande guerra, anche per Firenze, segnò un momento di riflessione e soltanto dopo il ’18 ricominciarono i veglioni nelle ricche dimore
e tornò il desiderio di mascherarsi, come accadeva a Venezia,
mentre i carri allegorici dei corsi mascherati si spostarono quasi completamente a Viareggio,
dove appunto, nel 1921,
sui Viali a mare
si svolse la prima sfilata accompagnata dalla musica.
Ma alla Firenze ottocentesca spetta la palma di sede dei carnevali più spettacolari. Negli anni 1886 e 1888
quello che per secoli era stato il Ghetto
(svuotato dei suoi abitanti solo nel 1882) venne trasformato in Bagdad
e poi in una città “chinese”. Strade, case, negozi, addirittura piazze, vennero allestiti da artisti e arredatori e divennero città dentro la città, che quando vennero smantellate furono messi all’asta gli arredi
così da poter aiutare le famiglie in difficoltà.